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Simbolo dell’estate

le pesche, originarie dell’Oriente, oggi sono diffuse in tutto il mondo; assaporate fresche o trasformate in gelati, torte e marmellate deliziano i palati di tutti

I cinesi sono stati i primi a coltivare gli alberi di pesco che crescevano spontanei già migliaia d’anni prima di Cristo; di qui la specie arrivò in Persia e iniziò la sua diffusione nel Mediterraneo. Pare che il re macedone Alessandro Magno sia stato un grande estimatore delle pesche, apprezzate in seguito anche dai Greci e dai Romani che le chiamavano “mele persiane”. Più tardi Carlo Magno ne promosse la coltivazione nei giardini dei monasteri.

Durante il Rinascimento erano già molte le varietà coltivate in Italia che si estesero anche in Francia e Germania. Dopo i viaggi di Cristoforo Colombo in America il pesco migrò al di là dell’Oceano al seguito dei conquistatori spagnoli e, di qui, le coltivazioni si diffusero nei Paesi del Nord e del Sudamerica.

GLI SCIENZIATI HANNO RECENTEMENTE
OTTO NOCCIOLI DI PESCA SELVATICA RISALENTI
A DUE MILIONI E MEZZO DI ANNI FA

I frutti oggi sono diversi dagli originari; nel tempo sono mutati dimensioni e colore e il gusto è diventato più dolce e gradevole, grazie ai numerosi incroci, dai quali sono nate centinaia di varietà. Le cultivar di pesche sono davvero tante nel mondo, classificate in base all’epoca di fioritura, di maturazione (dalle precoci alle tardive d’autunno), al colore e alla consistenza della polpa, all’utilizzo finale del frutto (consumo fresco o trasformazione).

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Risalgono a fine Ottocento i primi pescheti specializzati in Italia, ovvero nei territori di Massa Lombarda e Lugo, in provincia di Ravenna. Fu una vera rivoluzione perché alle tecniche arcaiche di frutticoltura praticate fino allora furono sostituiti i primi moderni impianti a frutteto. La Romagna divenne terra d’elezione delle pesche nettarine; buccia liscia e sottile dal colore rosso squillante e polpa soda e croccante, questa varietà conquistò i consumatori e ottenne il riconoscimento europeo dell’Igp.

LA PESCA È UN FRUTTO ANTIOSSIDANTE
E RIMINERALIZZANTE, PERFETTO
PER IL PERIODO ESTIVO

La coltura di questa varietà ha trovato una zona ideale per svilupparsi anche nel territorio della provincia di Verona. La presenza del Lago di Garda, che mitiga il clima, e i terreni di origine alluvionale creati dal corso dell’Adige, hanno permesso una specializzazione che ha portato a produrre frutti di qualità e a conquistare la Igp. La “nettarina di Verona” è reperibile da giugno a settembre presso qualsiasi mercato al dettaglio.

Le nettarine si adattano a svariati dolci, come le pesche comuni: crostate, bavaresi, gelati, sorbetti, budini e soufflé; invece per il colore scenografico della buccia, sono spesso utilizzate per decorare preparazioni dolci e salate. Le ricette della tradizione romagnola sono numerose; spiccano le pesche ripiene con mandorle e agrumi canditi passate in forno con il vino bianco, le pesche caramellate oppure cotte all’aroma di cannella o ancora gelate, servite in coppe di spumante di Romagna.

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MOLTE VARIETA’ IN ITALIA HANNO
OTTENUTO IL MARCHIO IGP
TRA QUESTE SI ANNOVERANO
LA PESCABIVONA E QUELLA DI LEONFORTE,
ENTRAMBE SICILIANE, LA NETTARINA
DI VERONA E QUELLA DI ROMAGNA

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La tabacchiera dell’Etna è una pesca dal sapore unico, una rarità prodotta in una manciata di Comuni tra le valli del Simeto e dell’Alcantara (CT, ME) su terreni vulcanici; inserita nell’Arca del Gusto di Slow Food, è disponibile solo da giugno a luglio; essendo molto delicata, va consumata entro pochi giorni dalla raccolta. Di forma piatta (platicarpa), schiacciata ai lati come le vecchie scatole per il tabacco da fiuto, ha la buccia vellutata di colore rosso sfumato, la polpa bianca e il nocciolo molto piccolo; a renderla unica è l’intensità del profumo che emana e la dolcezza della polpa.

IN SICILIA LA PESCA SI GUSTA ANCHE D’AUTUNNO, GRAZIE ALLE TEMPERATURE INVERNALI SUFFICIENTEMENTE MITI

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PICCOLA DOLCEZZA

Nel tempo la tabacchiera dell’Etna ha dato vita a un ricco menu di dolci specialità. Quando a Maniace (CT), uno dei paesi produttori, si celebra la Sagra delle Pesche e delle Pere in onore dei frutti della vallata, si degustano granite, sorbetti, gelati e confetture e, per finire, la tradizionale torta di pesche e pere, soffice e cremosa. Viene preparata anche al forno, ripiena con ricotta e granella di pistacchi di Bronte o meringata e utilizzata per profumare crostate, tartetatin, tiramisù, cheesecake. Ottimo il liquore, da servire ghiacciato per accompagnare i dessert a fine pasto.

Le platicarpe hanno conosciuto un’evoluzione importante in Italia negli ultimi cinquant’anni con l’affermazione delle pesche saturnine. Nella forma sono apparentemente simili alle tabacchiere siciliane ma, a differenza di queste, sono frutto di incroci. Nelle Marche si è affermata una varietà chiamata Saturnia, un marchio registrato da Giorgio Eleuteri che impiantò a Civitanova Marche esemplari di una platicarpa americana (Stark Saturn). Un incrocio, regolato secondo un preciso disciplinare di produzione, che ha raccolto l’approvazione degli chef marchigiani, impegnati nell’ideare ogni sorta di specialità dolci e salate con la pesca saturnia.

Consorzio Tutela Pesca di Leonforte

Addio ai prodotti chimici per le pesche “insacchettate” di Leonforte. Sono frutti della provincia di Enna, dove un tempo maturavano spontaneamente negli agrumeti. Oggi sono coltivate con una tecnica del tutto particolare. Per ovviare al problema della pericolosa mosca del pesco senza far uso di antiparassitari, i frutti ancora piccoli e verdi vengono avvolti a mano, uno per uno, in un sacchetto di carta pergamenata che li protegge da insetti e intemperie. Un lavoro certosino che inizia a giugno; la pesca di Leonforte, infatti, è un frutto tardivo che si raccoglie tra settembre e novembre. La produzione media annua è pari a ottocento tonnellate, di cui il novanta per cento venduta in Italia.

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Una particolare tecnica di raccolta caratterizza la pesca di Volpedo, in provincia di Alessandria, varietà molto nota nei mercati del Nord Italia e che negli ultimi anni ha raggiunto importanti città nord europee. Il suo gusto armonico ma deciso è dato dal tipo particolare di raccolta cui sono sottoposti i frutti. È stata definita “d’onda”, perché avviene dalle tre alle cinque volte su ogni singola pianta. Si rispettano i tempi di maturazione che sono propri di ogni frutto raccogliendo prima quelli più maturi, poi, quando ne sono maturati altri, si procede a un nuovo raccolto e così via. Il tempo – dicono gli agricoltori – è un ingrediente chiave per ottenere la piena bontà del frutto.

La sfogliatura della pianta è un altro espediente, utilizzato a Collebeato, in provincia di Brescia, per facilitare la piena maturazione dei frutti. Con cura e attenzione gli agricoltori tolgono a mano tutte le foglie che toccano i frutti ostacolandone l’esposizione al sole. In questo modo si favorisce una migliore colorazione e si aumenta il loro contenuto zuccherino, favorendo il raggiungimento della massima qualità.

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DOLCEZZA DI BRESCIA

La Persicata è tipica della zona. Si prepara lasciando disidratare la polpa di pesca e poi la si fa bollire con lo zucchero. Questo dolce varia molto in consistenza, forma e sapore secondo la percentuale di zucchero; intorno al 50 per cento si ottiene una confettura, con il 75 una genuina marmellata.

 

 

 

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Le percoche sono una varietà precoce del Sud Italia. Hanno polpa soda, ben aderente al nocciolo, il sapore è dolce e delicato; maturano a partire dall’ultima decade di maggio. Fresche, vengono utilizzate per preparare pesche sciroppate, confetture e crostate di frutta e possono essere “ubriacate” con vino bianco o rosso, anche aggiungendo aromi tipici utilizzati per fare la sangria come cannella o menta.

A cura di Annamaria Andreasi

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