Tendenze

Cinque più uno

oltre a dolce, salato, acido, amaro e umami, un nuovo studio suggerisce che le papille gustative siano in grado di rilevare un sesto gusto

Massimo Adami on Unsplash

All’inizio del ‘900 il chimico giapponese Kikunae Ikeda avanzò un’ipotesi rivoluzionaria affermando che i gusti di base captati dalla lingua non sono quattro ma cinque. Accanto a dolce, acido, salato e amaro, secondo lo studioso c’era anche quello da lui chiamato umami, un nome che tradotto dall’idioma nipponico suona come “essenza della prelibatezza”. Si tratta di quella nota saporita che caratterizza il glutammato, un esaltatore di sapidità caratteristico degli estratti di carne concentrati e dei dadi per il brodo. Circa ottant’anni dopo, la comunità scientifica l’ha riconosciuto ufficialmente. E oggi si aprono nuove prospettive in campo alimentare, perché sembra che i ricercatori americani della University of Southern California Dornsife ne abbiano identificato uno nuovo.

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È il cloruro di ammonio che viene percepito dal recettore Otop1 localizzato nelle membrane cellulari della lingua, lo stesso che “identifica” il gusto acido. La struttura a forma di canale di questo recettore favorisce il movimento degli ioni di idrogeno, di cui sono particolarmente ricchi gli alimenti aspri. Con il loro moto, tali componenti chimici colpiscono la lingua che riconosce immediatamente le note dominanti di ingredienti come il limone, che contiene un’elevata quantità di acido citrico e ascorbico, e l’aceto, costituito essenzialmente da
acido acetico. Il fatto che anche il cloruro di ammonio sia in grado di attivare un recettore, soddisfa il requisito fondamentale per far sì che un sapore possa essere classificato come gusto primario. Tuttavia la questione è ancora oggetto di dibattito e studio.

ci sono nuove consapevolezze
nella percezione del gusto

I Paesi Scandinavi hanno una notevole familiarità con la percezione del sesto gusto, dal momento che il cloruro di ammonio viene utilizzato come ingrediente nella cucina del territorio per la produzione di liquori, gelato e di alcune preparazioni tradizionali. Fra queste vi è il salmiak, meglio noto come liquirizia salata, una caramella particolarmente apprezzata fra i consumatori del Nord Europa e della Germania settentrionale. Chi non l’ha mai provata difficilmente l’apprezza al primo assaggio per via del suo sapore penetrante ed aspro, dolce come il caramello ma nello stesso tempo decisamente salato.

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Liquirizia salata

Sembra che in un primo tempo il salmiak fosse usato esclusivamente in campo farmaceutico, come semplice rimedio contro la tosse e il raffreddore. Solo a partire dagli anni Trenta è entrato di diritto a far parte dell’Olimpo delle specialità locali nel Paesi del Nord.

Nel suo stato naturale il cloruro di ammonio è costituito da sale marino e di roccia. In ambito industriale viene invece ottenuto dall’acido idroclorico e dall’ammoniaca. Ha un aspetto cristallino, si scioglie facilmente in acqua e può svolgere una funzione di regolatore dell’acidità. Per questo trova impiego nel ruolo di additivo (contraddistinto dalla sigla E510) in diversi prodotti, come ad esempio nelle farine e in certi tipi di pane. Contribuisce ad aumentare la consistenza delle specialità che richiedono un processo di lievitazione e aiuta a stabilizzare il pH. Con la birra funziona più o meno allo stesso modo, dal momento che favorisce l’azione del lievito. In generale può aiutare a ridurre l’impiego di cloruro di sodio nei cibi, anche se il suo uso è limitato per il sapore molto intenso che può conferire alle preparazioni.

Dietrofront

Visto che il cloruro di ammonio, assunto in notevole quantità, è una sostanza tossica, nel 2012 l’Unione Europea aveva proposto di limitarne l’utilizzo a tre grammi per ogni chilogrammo di prodotto alimentare. I Paesi Nordici si sono immediatamente opposti. L’approvazione di un tale provvedimento avrebbe infatti vietato la produzione di liquirizia salata, che ne contiene settanta grammi per chilogrammo. L’idea non ha quindi avuto seguito.

C’è una motivazione evolutiva, secondo i ricercatori, del fatto che la lingua sia oggi in grado di riconoscere l’ammonio e l’ammoniaca da esso derivata. Essendo nocivi per la salute, è logico che con il trascorrere del tempo l’essere umano abbia sviluppato alcuni meccanismi sensoriali per rilevarli ed evitarli. Eppure in piccole quantità la lingua e il palato hanno imparato ad apprezzarne il gusto.

Hanna Stolt on Unsplash

Per una questione culturale nelle aree nordiche, dove il cloruro di ammonio viene utilizzato in alcune preparazioni culinarie tradizionali, il sesto gusto è considerato familiare e piacevole. In altre, come quella italiana,
questo ingrediente non viene usato in cucina, quindi i recettori lo percepiscono come sconosciuto e potenzialmente sgradevole.

Non è così scontato che il cloruro di ammonio venga riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale come un sapore a sé. Basti pensare che altre percezioni sensoriali sono state recentemente proposte come sesto gusto, senza successo. Alcuni potenziali candidati sono stati il kokumi giapponese, apprezzato per la sua capacità di aumentare la gradevolezza degli alimenti, e l’oleogustus, ossia il “gusto per il grasso”. Tuttavia mancano prove che dimostrino l’esistenza di recettori specifici per percepirli.

A cura di Anna Fraschini

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