Una storia di famiglia legata al gelato
Il messaggio indirizzato a me, inviato tramite Messenger, iniziava così:
Ho deciso di raccontarle una storia, la nostra, che si lega a stretto filo con la Carpigiani presso la quale lei ha curato il Museo del gelato artigianale. Noi non cerchiamo pubblicità gratuita, ma vogliamo che conosciate come Poerio Carpigiani aiutò la mia famiglia. In particolare, le racconterò un aneddoto che ha cambiato per sempre la nostra vita”
E prima di iniziare a raccontare, dedico le righe che seguono alla bisnonna Pasqua, che nei suoi 98 splendidi anni è testimone vivente di una storia straordinaria.
Nel 1937, due anni prima che scoppiasse il secondo conflitto mondiale, ad Adria viene aperto un chiosco di gelati e dolciumi. Giuseppe Braggion con la moglie avvia l’attività, fiero di essersi concesso il lusso di aver acquistato una bella motogelatiera Cattabriga da banco e inizia a vendere gelati. Impara presto a farli buoni e, nonostante i problemi economici di quegli anni, l’attività prospera. Quando gli affari iniziano a dare i primi frutti, Giuseppe è chiamato dall’esercito e da pacifico gelatiere è trasformato in militare che imbraccia un fucile e conosce le atrocità della guerra. Una partenza amara, perché oltre alla gelateria lascia una moglie che ama e che lo ha sempre affiancato. E qui entra in ballo il “fattore femminile” della famiglia Braggion.
Per nulla scoraggiate, la moglie di Giuseppe, Pasqua, le sue sorelle e cognate prendono in mano la gelateria e continuano a mandare avanti l’attività. Le donne, si sa, danno il meglio di sé proprio nelle difficoltà e prima che finisca la guerra aprono un’altra gelateria, in piazza Mazzini con 150 posti a sedere. Lavorano giorno e notte. Alla fine del conflitto mondiale, dopo 7 anni di assenza, Giuseppe ritorna a casa ferito, ma ritrova il suo chiosco e una grande novità: una bella gelateria nel pieno centro del paese, capitanata dalla moglie Pasqua.
Il gelato dei Braggion piace, tant’è vero che pian piano acquistano delle lambrette che adibiscono a carrettini per la vendita dei gelati “a domicilio”: davanti alle scuole, nei parchi, nelle piazze dei paesi limitrofi e della costa adriatica. Le lambrette si moltiplicano e i Braggion nel 1951 ne posseggono ben diciotto.
Da soli sei anni era finita la seconda guerra mondiale con milioni di morti, i sopravvissuti stavano faticosamente, ma pieni di speranza, ricostruendo un Paese ferito e sfinito.
Tutto sembrava filare finalmente liscio quando tra il 14 e 16 novembre 1951 il Po, con una forza incontenibile, ruppe tutti gli argini e invase terre, boschi, paesi, città. Il 52 per cento dell’intero Polesine fu spazzato via. Le cronache del 18 novembre raccontano che “dopo millenni di storia viva, Adria diverrà una città morta. Se le acque si ritireranno, i suoi trentamila abitanti, che la amavano e sognavano che ridiventasse una città di traffici, di cultura, di opera, non vi potranno mettere piede. Tanto tempo questa gente dovrà rimanere lontana, quante cose care dovrà lasciare!” E quanti non sono mai più ritornati.
Tra le tante cose care spazzate via dall’alluvione ad Adria vi era un chiosco di gelati e la grande gelateria artigianale che con tanta fatica le donne della famiglia Braggion avevano custodito negli anni della guerra e rilanciato nel dopoguerra. L’alluvione, dice Jacopo, “portò con sé non solo le gelaterie, ma anche tutti i sogni e le speranze di una vita finalmente serena”.
Dopo cinque anni in cui la famiglia visse in varie regioni d’Italia, sfollata come ai tempi di guerra, Giuseppe con la sua numerosa famiglia, 72 mila lire in tasca, decise di trasferirsi a Padova, per ricominciare.
Ma il nonno Giuseppe aveva un chiodo fisso: fare il gelato, riprendere il mestiere che lui amava e conosceva bene. Il problema però era che non avevano più nulla, né motogelatiere, né lambrette, pochissimi soldi. L’unico bene rimasto era un vecchio motocarro, un Motom 48 cc. Tempo addietro Giuseppe era venuto a sapere che a Bologna i fratelli Carpigiani avevano brevettato una nuova macchina per fare il gelato, un’Autogelatiera che lo lavorava davvero bene, come piaceva a lui, e possedevano un’officina a Bologna.
Dopo tante riflessioni, prese la decisione di chiedere aiuto; salì sul suo Motom si recò personalmente a Bologna, senza nemmeno un soldo in tasca, ma con tanta speranza nel cuore.
Ad accoglierlo in Carpigiani però non ci sono i due fratelli. Bruto, che aveva progettato la Autogelatiera, era deceduto nel 1945 a seguito di una malattia. Fu, quindi, Poerio che aveva preso in mano le redini dell’azienda ad accoglierlo. Giuseppe raccontò la situazione in cui si trovava la sua famiglia a causa dell’alluvione, il dolore di non poter provvedere al mantenimento della stessa, la paura di perdere l’unico bene che gli era rimasto: la sua dignità.
Poerio Carpigiani, subito, senza pensarci su due volte, decise di fornirgli un’Autogelatiera, una L16 da banco, con la quale Giuseppe potesse ricominciare, con la promessa che gliela avrebbe pagata quando si fosse rimesso in piedi.
E Giuseppe Braggion, col suo motocarro, ritornò a Padova con una nuovissima L16, che segnò l’inizio di una nuova vita.
Ora la Gelateria Braggion ha compiuto 81 anni di attività, fiera che nel conteggio compaiano anche gli anni di Adria.
Quella macchina, con il suo libretto di istruzioni originale, è ancora esposta nella gelateria in segno di gratitudine nei confronti di chi ebbe la sensibilità di tendere una mano nel momento forse più drammatico della famiglia.
Con la L16 sono esposti nella gelateria decine di oggetti per la produzione del gelato e il suo modellaggio che Jacopo e Nicolò, i nipoti di Giuseppe, hanno raccolto in questi anni.
La “bottega” che ora è dei fratelli Jacopo e Nicolò Braggion, i nipoti di quel nonno leggendario e figli di Giovanni, ne hanno fatto un luogo che vale la pena, prima ancora di degustare il gelato, visitare perché completamente arredato con oggetti e strumenti di lavoro ormai antichi: stampini di alluminio di ogni forma e foggia, porzionatori, fotografie… molto ben disposti dalla moglie di Jacopo, Sarah, una giovane architetta di grande sensibilità.
E la filosofia produttiva dei fratelli si fonda sulla tradizione ma anche su un continuo. desiderio di innovazione. Nel laboratorio a vista sono continuamente in movimento ben quattro pastorizzatori e quattro mantecatori, tutti Carpigiani; una cella frigorifera contiene grandi quantità di frutta di stagione che i fratelli, con l’aiuto di Ramiro Polin, un giovane volenteroso, mondano fin dall’alba. Tre volte al giorno il gelato esce fresco di macchina per essere venduto immediatamente e, raccontano i fratelli, a volte non fanno in tempo a metterlo nelle carapine che è già finito. Ragion per cui se all’inizio dicevamo che vale la pena di visitare la gelateria anche soltanto per la bella esposizione, dopo aver degustato il gelato crediamo di poter dire che qui dai Braggion è davvero un’esperienza sensoriale unica. Provare per credere. Specialità? Dal nonno hanno ripreso la produzione del gelato al Clinto, un vino locale particolarmente aromatico. Da anni, inoltre, producono più linee di gelato: dal gastronomico al tradizionale. Quelli gastronomici sono stati introdotti dal papà Giovanni, che non si è posto limiti e ne citiamo solo alcuni come salmone, funghi porcini, gorgonzola, parmigiano, oppure alle verdure come zucca, patata americana, sedano agli infusi, come la rosa, gelsomino, salvia, rosmarino. Nel laboratorio sono in bella vista grandi barattoli di vetro contenenti petali di rosa, fiori di gelsomino, foglie di salvia e quant’altro possa occorrere per realizzare gli infusi.
Che dire ancora? Il papà, Giovanni Braggion, ha raccolto molti riconoscimenti e in tempi non sospetti: nel 1976 ha vinto l’Oscar per il gelato al sedano e nel ’77 per il sorbetto alla grappa; ha ricevuto un attestato dell’Accademia della cucina Triveneto, quali primo e unico produttore di gelato gastronomico a “ciclo continuo”. Inoltre, visite, articoli, citazioni e riprese da parte di reti televisive anche inglesi, del Gambero Rosso…
Dal 2010 il pallino è passato nelle mani dei giovani fratelli che non si risparmiano; la mentalità è ancora quella che la fatica paga, e loro di fatica ne fanno proprio tanta e il loro successo è più che meritato.
A cura di Luciana Polliotti